Un autre petit mot sur HECTOR M.
Quand Hector suivait le blog...
Aussi : http://www.kreizker.net/article-alcolisti-anonimi-1974-97442106.html
fonti orali: - conversazioni del 9 ottobre e del 4 novembre 2014 in via Toselli con Jocelyn, Renato, Luciano, Umberto, Cristian, Sisto ed Hector (per skype);
- conversazione telefonica con Bruno G., 4 novembre 2014
fonti scritte: - Hector M (corrispondenza email mediante lettere elettroniche del 2014; anche attraverso Alcolisti Anonimi gruppo on-line in lingua italiana)
- Alcolisti Anonimi, area della Toscana 25 anni in Toscana, 1999;
- Roberto C., Grato ad A.A.. cronache e storie, non pubblicato;
- Carlo Coccioli, Uomini in fuga, Rizzoli 1973.
Tracce di AA in Italia tra il 1960 e gli inizi del decennio ‘70
Negli anni ‘60 1960 sarebbero sorti alcuni gruppi che si rifacevano ad A.A. a Milano e a Torino, di cui si ha segnalazione in una publicazione (De Antonellis G. Il dio alcool : il primo rapporto organico sull'alcolismo in Italia, verificazione del fenomeno, prevenzione e terapia, Milano : Bramante, 1969).
Nella guida internazionale di Alcolisti Anonimi si parla di AA in Italia per la prima volta nel 1970, menzionando un certo Riccardo che aveva tentato di aprire un gruppo a Milano, ma che non compariva più l’anno successivo (Roberto C.)
Roma aveva già agli inizi degli anni 60 un gruppo di lingua inglese, aperto nel dopoguerra dall’esercito americano. Nel 1972 Giovanni ed Ermanno approdarono a tale gruppo. Nel maggio 1972 vi si aggiunse Carlo C., membro del parlamento italiano. Due anni dopo, “all’inizio dell’estate 1974”, Carlo C. con Mya e Jolanda, membri bilingui del gruppo americano, avviò un gruppo AA italiano (RC). Nel marzo del 1975 un medico chiamò Carlo C per parlare con Roberto C., che entrò nel gruppo romano (Roberto C).
A Firenze, prima della prima pubblica informazione
Le vicende di Hector.
Hector M., che da un certo tempo abitava in Italia ebbe primi ricoveri nel nosocomio di San Salvi sono stati due nell’anno 1964, uno in estate e il secondo in inverno, e in ambedue i casi fu degente in un reparto di persone affette da demenza.
Nella Clinica neuropsichiatrica di Firenze, Hector M. era stato trasferito dall'accettazione psichiatrica, diretta dal professor Sacenti, parte del vecchio Spedale di Santa Maria Nova nel centro di Firenze. A quell'accettazione di Santa Maria Nova venivano portati tutti gli ubriachi, anche quelli raccolti per strada dai Fratelli della Misericordia, insieme ai folli bisognosi di un ricovero d'urgenza, oltre alle persone che avevano tentato il suicidio; ad tutti, subito legati al letto, venivano subito somministrate larghe dosi di psicofarmaci per via intramuscolare, e catetere uretrale a permanenza così da non bagnare lenzuola e materassi. Gli ubriachi meno gravi venivano dimessi cessata la sbornia, tutti gli altri dopo un giorno o due venivano trasferiti nella clinica psichiatrica.
Hector aveva fatto questa trafila perché aveva tentato il suicidio dopo essersi anche ubriacato, essendo da tempo era dedito all'alcol. Il dottor Giuseppe Fioravante Giannoni, che stava frequentando il primo anno di specializzazione in clinica delle malattie nervose e mentali, ne parla così:
“Un bel ragazzo, di carnagione scura, dai capelli corvini e riccioluti, riservato e schivo, dai modi gentili ed educati, le mani ben curate; però triste, molto triste. Gli era passata ormai l'ebrezza alcoolica ma non la tristezza. Camminava senza fare alcun rumore con le sue scarpette da casa di pelle scamosciata, in silenzio consumava i pasti, piuttosto appartato. Parlai con lui perché incaricato di compilare la storia clinica. L'anamnesi: viveva a Firenze ma era sudamericano, in passato era stato anche studente, adesso gestiva un negozio di oggetti da regalo. Nel parlare, sempre in modo molto misurato, dei suoi problemi, aveva messo in secondo piano l'alcolismo mentre dava più importanza ai suoi problemi affettivi.
Andai nei giorni seguenti a far visita a Hector nel suo negozio, piccolo ma brioso e coloratissimo . Lui stava lì pensieroso ed inquieto, me lo confidò , non aveva più voglia di attendere a quella occupazione che odiava perché gli rammentava la sua vita con l’alcol, manifestava odio per quel negozio ma l'odio era rivolto a se stesso, si detestava.
Volle farmi in dono un piccolo soprammobile di ceramica smaltata a colori vivacissimi. Lasciai Hector, convinto di una prossima bufera.
E venne la tragedia. Una notte, in preda ad ebbrezza sfrenata Hector dapprima aveva quasi sfasciato la casa, urlando come un forsennato, coprendo tutti di ingiurie per poi tagliarsi le vene dei polsi, sangue dappertutto ché sanguinante aveva corso per tutte le stanze, l'arrivo della autoambulanza, la disperazione e l’impotenza. Il giorno dopo trovai Hector in Clinica, i polsi fasciati da bende. Quando mi vide cominciò a piangere, era veramente dispiaciuto per quello che aveva fatto.”
Hector ricorda che durante il ricovero non ricevette visita alcuna e che, per non deprimersi ulteriormente, si alzava alle 4 del mattino mettendosi a spazzare i corridoi del reparto, e poi lavava piatti e pentole per tutti.
Tornato in Messico, qualcosa trasformò la vita di Hector: iniziò a frequentare Alcolisti Anonimi, fu capace di diventare stabilmente sobrio, di superare depressione e sconforto, di porre su basi nuove i rapporti con se stesso. Con gli amici alcolisti del Gruppo Valle de México, andava due volte alla settimana a parlare di AA coi ricoverati nell'ospedale psichiatrico. Inoltre, un suo caro amico e sponsor lo portava con sé all’ospedale per tubercolosi, e anche li, facevano la trasmissione del messaggio (Hector).
Carlo Coccioli, scrittore e giornalista, ricorda così in "Uomini in Fuga", quella trasformazione, vista dalla parte della sua “vicinanza amorosa di un persona ammalata di alcolismo attivo: Orrore mescolato con amore. Né con te né senza di te...credo siano stati diciassette gli interminabili anni dell’angoscia...era un’indifesa libellula che si trasformava in un giaguaro. Ma tanto la libellula quanto il giaguaro li tenevo in vita io....Poi un giorno apparve AA dopo un mio viaggio in Terra Santa...Vi andai per chiedere un miracolo – proprio così- al santo cabalista Isaac Luria, chiamato il Leone, vissuto secoli fa e sepolto nel remoto cimiero galileo di Safed...Il fatto più incredibile è che il ‘miracolo’ mi venne concesso. Tornato in Messico, e dopo gli ultimi brevi scoppi di furore, la persone entrò nel gruppo AA Valle de Mèxico, dove si salvò” (Coccioli, Prefazione)
Le vicende di Jocelyn.
Jocelyn era arrivata a Firenze alla fine del 1969, con un anno di sobrietà, venendo da Londra dove aveva frequentato AA, in particolare un gruppo per giovani, una novità per allora, ma con pochi partecipanti. Là i gruppi AA avevano sede presso le chiese protestanti, che erano per tradizione le più informate, e là ero andata (anche se la mia famiglia è di origine cattolica). Non essendoci AA a Firenze, frequentavo il gruppo di lingua inglese a Roma. A quel tempo non c’era nessun italiano, a parte qualcuno che era di passaggio e che abitava o frequentava gli Stati Uniti; tra gli altri, alcuni attori di Cinecittà.
Ma poiché Jocelyn abitava a Firenze, fidanzata con un italiano, cercò di far partire un gruppo AA, con l’interesse di potervi partecipare senza essere costretta di andare sempre a Roma. Così si rivolse ai luoghi e alle persone che immaginava avessero più attenzione alla cosa. Si recò alla chiesa episcopale americana di Saint James, in via Rucellai, dove il reverendo responsabile sentenziò che a Firenze non c’erano problemi di alcolismo (in seguito si disse poi che forse lui stesso era nel problema); una simile risposta ebbe dal reverendo della chiesa inglese di Saint Mark in via Maggio. Riuscì anche a ottenere di mettere un annuncio sia al consolato britannico sia a quello americano, che chi fosse interessato ad aprire un gruppo AA la contattasse, ma non ebbe alcun successo. Nel 1971 ebbe una visita dal professor Antonio Morettini, conosciuto da sua suocera, e noto per essere un esperto nel campo, che a detta di Jocelyn negò che quella giovane donna inglese potesse essere un’alcolista, consigliandole di limitarsi a ber un solo bicchiere di vino a pasto. Ma Jocelyn non seguì quel consiglio.
Poiché il suo nome e telefono erano segnalati nell’International Directory come AA solitaria, le restavano solo alcuni incontri con membri AA di vari paesi di passaggio a Firenze; talvolta anche alcuni AA di Roma ricambiavano le sue visite da loro venendola a trovare a Firenze, e, infine, andava a incontrare la sponsor londinese nelle occasioni in cui si recava in Francia. Insomma, non restava così sola in AA (Jocelyn).
Arrivo di Hector e poi di Carlo Coccioli a Firenze (1974)
Il ritorno di Hector a Firenze nel 1974 fu dovuto al fatto che Carlo Coccioli gli propose di utilizzare pe sé e per lui due biglietti aerei per l’Europa con ritorno dopo tre mesi, che si sarebbero potuti spendere nell’estate. Hector racconta che il caso volle che al lavoro, dov’era impiegato, inaspettatamente gli concedessero quel periodo cos’ lungo di ferie grazie a un collega che era disposto a sostituirlo. Così prese l’aereo, con Carlo Coccioli che l’avrebbe seguito a breve. Ma durante il viaggio su un treno in Italia, cominciò ad accorgersi che non avrebbe voluto stare senza frequentare un gruppo AA.
Hector così racconta il seguito del viaggio. “[Poi] aprii un finestrino e vidi uno spettacolo meraviglioso: c’era la luna, e il sole che sorgeva dalla parte opposta. Allora ricordai quello che mi avevano detto i dottori a San Salvi le due volte che ero uscito dall'ospedale – ‘il vino rosso fa buon sangue, prendi a i pasti un bicchiere’, ‘bevi birra non bere alcolici’ – e quando chiusi il finestrino, oh Dio, ecco la soluzione, ecco il mio compito. Andare a San Salvi per parlare con i medici e raccontare che non bevevo più. Dirgli che ero un alcolista anonimo. Le mie vacanze erano ormai scomparse, il mio scopo era parlare con gli alcolisti rinchiusi come me dentro il manicomio. Volevo dire loro che c’era una soluzione per evitare di bere, che c’era una vita migliore senza l’alcol, che l’alcolismo era una malattia, e volevo dire ai medici che non continuassero a ripetere agli alcolisti rinchiusi quello che mi avevano ripetuto anni prima, e raccontare quello che avevo imparato nei gruppi. Per fortuna portavo con me il Libro Alcohólicos Anónimos e i 12 Passi, in spagnolo”.
“Quando mi ripresentai al dottor Giuseppe Giannoni (che fu così il primo medico a favorire la nascita di AA in Italia), e gli raccontai quello che mi era accaduto in Messico, lui tutto sorpreso non mi credeva- Mi fece un sacco di domande. Prima credette che fossi lì di nuovo per esser ricoverato, poi mi guardò e mi chiese se ero ancora brillo, ed io gli dissi ‘no! Solo per oggi, no!’ E mi domandò: ‘Allora domani sarai ubriaco?’ ‘No!’ e cercai di spiegargli come funziona AA .Poi arrivarono altri medici, con più domande, nient’altro che domande. ‘Sei forse un medico?’ ‘No, sono solo un alcolista’. ‘Sei uno psichiatra come noi?’ ‘No, non lo sono’. ‘E’ propaganda americana?’ ‘No, il programma è nato negli USA, ma non è propaganda’. ‘Quanto costa AA?’ ‘Niente, solo ognuno di noi contribuisce con quello che vuole nel gruppo’. ‘Allora è una setta religiosa?’ E così via tante domande alle quali grazie a Dio e senza cadere in contraddizione ho potuto rispondere. Il dottor Giannoni mi incoraggiò: ‘Come ti posso aiutare?’ Allora gli chiesi il favore di mettermi in contatto con gente come me, malata e rinchiusa negli ospedali e mi rispose: ‘Hai voglia!. Ce ne sono parecchi.’
“Dopo due giorni il dottor Giannoni mi chiamò per comunicarmi che avevo il permesso di andare a parlare con quattro alcolisti. Cosi un bel pomeriggio, in una stanza del manicomio, e senza che fosse presente alcun operatore, facemmo un gruppo AA con Gigliola, Edoardo e altri due ricoverati presumibilmente inviati da Giannoni. Era la prima volta a San Salvi, dove si aprì il primo gruppo istituzionale AA in Italia – era l’estate 1974, probabilmente il mese di giugno. Io provvedevo a portare bibite e caramelle. Al gruppo, dopo le due riunioni Pubbliche di luglio, mi accompagnò anche Silvano L. il gruppo è durato fino alla mia partenza di ritorno per il Messico. Poi, Silvano rimase come incaricato, mentre le persone del gruppo sono in seguito confluite nel gruppo di via Rucellai” (Hector).
Hector riferisce che in quell’estate faceva anche dodicesimi a Poggio Sereno, sotto Fiesole, grazie alla disponibilità del dottor Manfredo Baronti “Questi dodicesimi mi hanno molto aiutato. Il dottor Baronti era molto gentile e mi aiutò ad occuparmi senza egoismi dei ricoverati d'alcolismo di quella clinica, al cui letto mi fermavo a parlare. “(Hector).
Passato un po’ di tempo arrivò Coccioli, che aveva casa a Firenze in Sdrucciolo de’ PItti. Coccioli
aveva timore di una ricaduta di Hector, e non poteva immaginare che per conto suo aveva già dedicato parte del tempo a trasmettere il messaggio negli ospedali psichiatrici di Città del Messico. Pensò così di promuovere l’apertura di AA a Firenze, e insieme organizzarono una prima riunione pubblica d'informazione su AA nel Palazzo Capponi, e una seconda riunione all'Istituto Stensen. La gente, gli amici, gli dicevano “ma siete matti qui a Firenze siamo ‘gente per bene’ mica degli ubriaconi: non ci saranno alcolisti, verranno forse solo degli americani” (Hector).
Prima Pubblica Informazione a Firenze: 14 luglio, Palazzo Capponi
Coccioli ed Hector scrissero un articolo sulla Nazione, giornale su cui Coccioli scriveva, per invitare le persone alla prima Riunione Pubblica d’Informazione durante ia quale fu presentata l'iniziativa di far sorgere l'attività di A.A. a Firenze. La riunione ebbe luogo nel palazzo Capponi in via Gino Capponi, il pomeriggio del 14 luglio 1974. Come racconta Hector, “la sala era bellissima, c’era il podio e tante sedie vuote, poi cominciò a passare il tempo, e non c’era quasi nessuno. Io con la testa bassa , dicevo la Preghiera della Serenità, ero l’unico alcolista e sedevo accanto a Coccioli. Avevo con me una piccola campana di argilla nera, e cominciai la riunione. Un po’ nervoso, forse anche troppo, non lo so, cominciai a leggere l’enunciato, e cominciai a parlare della storia di AA e del miracolo di vita di Bill e Bob, a cui nessuno pareva credere, e, attraverso la mia storia, di quello che AA aveva fatto per me. Poi Coccioli raccontò quello che aveva vissuto con me nei gruppi messicani, e che aveva testimoniato in ‘Uomini in Fuga’” (Hector).
Secondo il ricordo del dottor Giannoni, che era presente, “fu un incontro anche caotico ed imbarazzante per la presenza beffarda di qualche turista francese, tra cui un intellettuale che si presentava con un fiaschetto di Chianti ed un bicchierotto a calice come usavano una volta , di vetro giallino col piede celeste attaccato alla coppa oblunga e che si mise ad offrirne a tutti, poi tirò fuori dalla tasca interna della giacca una fiaschetta schiacciata di argento piena di cognac anche questo offerto in giro” (Giannoni).
Poi, ed è ancora Hector, “col passare del tempo arrivò più gente, anche dei medici, ed io divenni più tranquillo, e sentii la presenza di Dio. I medici posero le loro domande, e sembrava temessero che AA potesse rubar loro i malati di alcolismo. Alla fine diedi il mio numero di telefono, invitando chi aveva dubbi o vergogna a parlare e far domande, a farlo telefonicamente, e informai dell’anonimato e del suo significato Una riunione che avrebbe dovuto essere di un’ora e mezza durò più di tre ore” (Hector). Ed alla fine, attraverso una spera di sole, apparve come un ‘ectoplasma’, vestito di bianco, la figura di Silvano, che divenne poi un pioniere di A.A. (Roberto C.)
E ancora Hector: “Tornai a casa un po’ stanco e sudato, però contento di aver svolto il mio compito. Il telefono squillò diverse volte, e dopo un po’ chiamò con una voce roca un uomo che mi voleva vedere all’ indomani. Gli dissi di sì, e mi dette appuntamento a un bar in Piazza Beccaria. Andai a trovarlo verso le 5 di sera, ed era il mio primo dodicesimo in Italia. Silvano L. aveva il suo tavolino pieno di bicchieri, perché, come diceva, da 25 anni non poteva smettere di bere, e per lui era necessario bere. Sono ‘io sono un derelitto’ affermava mi diceva. Gli raccontai della mia storia, del mio arrivo nel gruppo, delle 24 ore, insomma di tutto quello che si deve dire a un nuovo che sta chiedendo aiuto, ascoltando con attenzione, senza fretta ed evitando di rimproverarlo perché stava bevendo. Avemmo giornalmente qualche altro appuntamento nello stesso luogo” (Hector).
Seconda Pubblica Informazione a Firenze: ... luglio, Istituto Stensen
Dopo poco Carlo Còccioli, con Juan Hector, organizzò una seconda riunione, che si tenne all’Istituto Stensen. Questa seconda riunione, fu ben preparata e pubblicizzata sulla Nazione, grazie a un pezzo di Coccioli, ben noto in città, che spiegava luogo, data e ora della riunione. Erano disponibili degli opuscoli con la letteratura di AA in italiano, da poco arrivati in mano d Hector.
Hector riferisce: “prima di cominciare ecco che apparvero, grazie a Dio, gli amici del gruppo AA americano di di Via Napoli a Roma. Erano Carlo C. (l’onorevole) e una donna alcolista, Licia. Ci siamo presentati come alcolisti, loro avevano letto a Roma il libro di Coccioli, e così si sono presentati in questa seconda riunione. Al tavolo dei relatori c’erano Carlo C., Licia, Carlo Coccioli e alcuni medici; io ero il coordinatore. Penso che tutto questo cominciò ad essere il miracolo. Quella sera durante la riunione, parlò Carlo C., e poi tra gli altri una donna inglese in attesa di un nuovo che sta chiedendo aiuto, ascoltando con attenzione, senza fretta ed evitando di rimproverarlo perché stava bevendo. Avemmo giornalmente qualche altro appuntamento nello stesso luogo” (Hector).
Seconda Pubblica Informazione a Firenze: ... luglio, Istituto Stensen
Dopo poco Carlo Còccioli, con Juan Hector, organizzò una seconda riunione, che si tenne all’Istituto Stensen. Questa seconda riunione, fu ben preparata e pubblicizzata sulla Nazione, grazie a un pezzo di Coccioli, ben noto in città, che spiegava luogo, data e ora della riunione. Erano disponibili degli opuscoli con la letteratura di AA in italiano, da poco arrivati in mano d Hector.
Hector riferisce: “prima di cominciare ecco che apparvero, grazie a Dio, gli amici del gruppo AA americano di di Via Napoli a Roma. Erano Carlo C. (l’onorevole) e una donna alcolista, Licia. Ci siamo presentati come alcolisti, loro avevano letto a Roma il libro di Coccioli, e così si sono presentati in questa seconda riunione. Al tavolo dei relatori c’erano Carlo C., Licia, Carlo Coccioli e alcuni medici; io ero il coordinatore. Penso che tutto questo cominciò ad essere il miracolo. Quella sera durante la riunione, parlò Carlo C., e poi tra gli altri una donna inglese in attesa di un bambino, Jocelyn, la quale con voce dolce, e col suo accento inglese raccontò parte della sua storia vissuta in Inghilterra” (Hector).
Racconta Jocelyn: “Coccioli, dopo la sua appassionata esperienza messicana sugli Alcolisti Anonimi, pubblicata nel libro Uomini in Fuga, era intenzionato a far partire AA a Firenze, e mi telefonò per fare una testimonianza, avendo ricevuto il mio numero dal gruppo di Roma, che saltuariamente frequentavo (Jocelyn).” “Allo Stensen c’era una varietà di persone, giornalisti, e anche medici e infermieri. Io, che era incinta, portai la mia testimonianza al tavolo degli oratori, raccontando della mia storia, per quanto potessi in quel luogo pubblico, e trasmettendo che ero felice di essere entrata in AA. Ero l’unica donna in tutta la sala. Gli astanti mostravano curiosità, senza particolare partecipazione.” (Jocelyn).
E ancora Hector: “ Tra i molti presenti c’era anche il dottor Manfredo Baronti, il medico amico di AA., e un AA solitario, Malcolm, americano pensionato che abitava a Fiesole. In fondo alla sala si trovava anche Silvano L., che non vedevo da 10 giorni (avvolto, come riferisce Jocelyn, in un impermeabile bianco- sporco, insolito data la stagione), che alzò la mano, vincendo la barriera della ‘vergogna’. Silvano, con la sua voce roca, affermò: ‘Voi medici mi conoscete quasi tutti. Mi avete disintossicato parecchie volte, però mai mi avete detto come smettere di bere, invece grazie a questo giovane messicano sono 10 giorni che non bevo’. Io sentii la pelle d’oca, tutto si svolgeva attraverso le domande della gente, dei medici, e con le testimonianze: ero tanto contento e felice di quello che ascoltavo. Al fondo alla sala un’altra mano: ‘ Sono il parroco della chiesa americana di via Rucellai, nel mio paese ci sono tanti di questi gruppi di AA, li conosco; se volete avere una riunione oggi stesso ecco c’e un posto per voi, ci sono sedie e tavoli, caffè , zucchero e tazze, da oggi stesso potete fare lì le vostre riunioni!’ In quel momento
avevo gli occhi quasi pieni di lacrime, non credevo a tutto ciò che stava accadendo. Il miracolo della Trasmissione del Messaggio stava dando i suoi frutti.” (Hector)
Terza Pubblica Informazione a Firenze: ... luglio, chiesa americana di Saint James
Con l’entusiasmo e la determinazione che lo contraddistingueva, Coccioli insistette perché Jocelyn prendesse subito contatti col parroco della chiesa americana di Saint James in via Ruceliai 9. Il nuovo pastore, padre Lee, mise a disposizione i locali della chiesa per una riunione pubblica preliminare. Questa si svolse nel seminterrato della chiesa durante il mese di luglio???? con la presenza di poche persone, alcune persone di lingua inglese (Malcolm, John) e alcune italiane (Silvano). Jocelyn faceva la traduzione.
Così partì il primo gruppo fiorentino, che fu inizialmente bilingue, perché costituito da alcolisti italiani e di lingua inglese. Alla sede si accedeva dal giardino, poco illuminato, attraverso una scaletta sulla sinistra della chiesa.
Il portinaio, e in particolare la moglie Primetta, accompagnavano i primi venuti e talvolta origliavano alla porta, curiosi di questo insolito tipo di incontri. Le mogli accompagnatrici a volte volevano restare al gruppo, ma finirono per essere mandate via. Per Jocelyn era piuttosto faticoso fare la traduzione delle due lingue. (Jocelyn).
Nel gennaio 1975 gli italiani – tra cui Silvano e Mario - erano divenuti capaci di far da sé, cosicché la riunione da bilingue si è trasformata in due riunioni monolingua, una italiana e inglese, in giorni diversi. Il gruppo italiano si chiamava Firenze ‘74’, ma da tutti era detto ‘Gruppo Rucellai’. Si facevano anche i dodicesimi, anche a casa delle persone, in cui Silvano era assai attivo. Quando si recava da alcoliste donne Jocelyn andava con lui. Così conobbero, tra le altre, Clara. (Jocelyn).